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Risarcimento del danno per errore medico, risarcimento e liquidazione danni fisici

Se riteniamo di essere stati colpiti da un caso di malasanità (in prima persona o in veste di familiari), possiamo far valere i nostri diritti rivolgendoci a un legale esperto in cause di risarcimento danni da errore medico.

Vediamo brevemente in quali situazioni ricorre la colpa medica.

Che cos’è la responsabilità medica

Si parla di errore medico, e conseguentemente di responsabilità medica, quando un paziente sottoposto a un intervento chirurgico, a una terapia, o a qualunque trattamento sanitario (oppure non sottoposto, nel caso fosse stato necessario), subisce delle lesioni psicofisiche o un peggioramento delle proprie condizioni di salute, per causa diretta e immediata di un illecito commesso dal medico e/o dalla struttura ospedaliera che lo avevano in cura. Si parla di danno da perdita di chance quando il comportamento del sanitario sia idoneo a incidere sulla durata della vita del paziente o sulla sua qualità: si pensi al caso in cui, per errore o ritardata diagnosi, non venga individuato un processo morboso terminale e non si provveda così, tempestivamente, a sottoporre il paziente interessato a un intervento chirurgico o altro trattamento sanitario che, pur senza garantire la guarigione, avrebbe potuto anche solo consentirgli di affrontare l’ultimo periodo della sua vita in maniera dignitosa con minori sofferenze o, addirittura, di vivere più a lungo.

Una responsabilità che dà luogo al diritto al risarcimento del danno in capo al soggetto leso e ai suoi congiunti/eredi (le cosiddette vittime secondarie), una volta che venga dimostrato il nesso di causalità fra la lesione cagionata e la procedura medico-chirurgica antecedente.

La materia è stata recentissimamente innovata dalla c.d. Riforma Gelli, che ha tracciato un “doppio binario” di responsabilità per gli enti sanitari e per i singoli operatori medici.

Si tratta, infatti, a livello civilistico, di una responsabilità di tipo contrattuale – conseguente, cioè, all’inadempimento di una specifica obbligazione intercorrente fra le parti (art. 1218 c.c.) – per ciò che concerne la posizione dell’ospedale o della clinica. Mentre rispondono a titolo di responsabilità extracontrattuale o aquiliana, secondo il principio generale del “neminem laedere” (art. 2043 c.c.), i sanitari coinvolti, sia che essi operino in strutture pubbliche o private, in regime intra-moenia oppure convenzionato con il SSN.

Tale distinzione comporta una serie di implicazioni sul piano probatorio e della prescrizione che, detto sinteticamente, alleggeriscono la posizione dei medici rispetto al passato, e rendono le cose un po’ meno facili per i soggetti lesi… (vd. infra)

Definizione di “illecito medico”

Il fatto illecito a cui viene riconnessa la responsabilità medica consiste nell’aver colpevolmente determinato il cattivo esito di un’operazione chirurgica o di un trattamento terapeutico.

In pratica, i medici rispondono sul piano civile tutte le volte in cui il loro comportamento in sala operatoria, in ambulatorio o in corsia non sia stato conforme alle norme di diligenza professionale e alle guide-lines riconosciute dalla comunità scientifica, producendo un qualunque nocumento all’integrità fisica o psichica del paziente.

Non sono pochi, infatti, i casi in cui diagnosi errate o trattamenti effettuati con eccessiva leggerezza hanno nuociuto in maniera irreparabile ai pazienti, spesso rovinando le vite di intere famiglie!

È necessario, tuttavia, che tale illecito sia stato commesso con dolo o colpa grave, non rilevando ai fini dell’imputabilità penale né per la responsabilità civile la cosiddetta ‘colpa lieve’.

Lesioni da errore medico: i danni risarcibili

Come avviene in generale per le lesioni da fatto illecito, anche nelle cause per responsabilità medica, l’area della risarcibilità si estende tanto ai danni patrimoniali quanto a quelli non patrimoniali.

A sua volta, il danno patrimoniale copre le categorie cosiddette del Danno emergente e del Lucro cessante. Nel primo caso, i soggetti lesi vengono ristorati per le perdite economiche immediatamente riportate – prime fra tutte le spese mediche complessivamente sostenute, ma anche i costi per viaggi e soggiorni dei parenti del paziente nei pressi della struttura sanitaria, e così via.

Il lucro cessante consiste invece in un mancato guadagno – come può essere, per esempio, il profitto che il paziente privato della capacità lavorativa non potrà più conseguire.

Quanto ai danni non patrimoniali, rientrano in questa categoria tutte le lesioni fisiche e psichiche, la sofferenza morale, i disagi e qualsiasi condizionamento negativo di natura non economica prodottosi nella vita del paziente e dei suoi cari (la giurisprudenza più recente ricomprende nel numero dei congiunti, anche i familiari “non nucleari”), in seguito – e in conseguenza – del trattamento medico-chirurgico subìto. Per la liquidazione dei quali, la legge stabilisce dei criteri fissi solo nei limiti delle lesioni che comportano una invalidità non superiore al 9% (= lesioni micropermanenti) (vd. art.139 d.lgs. 209/2005 in materia di circolazione stradale).

Come si prova la colpa medica

Per poter vantare il diritto al risarcimento del danno da errore medico e ospedaliero, occorre che la lesione sofferta dal paziente sia una conseguenza diretta e immediata dell’operato dei sanitari. Deve cioè essere dimostrato il nesso di causalità fra il danno ingiusto patito e il trattamento medico-chirurgico eseguito.

A questo scopo, il danneggiato produrrà documentazione a sostegno della propria pretesa (cartelle cliniche, certificati, “consenso informato”…), che attestino sia l’avvenuto intervento o trattamento, sia le proprie condizioni di salute precedenti e successive a questo.

Allo stesso tempo, incombe sul soggetto leso anche la prova della condotta scorretta del personale medico convenuto, cioè del mancato rispetto delle regole di diligenza professionale e delle linee-guida necessarie a scongiurare il verificarsi di eventi lesivi. (Al contrario, la normativa previgente poneva interamente a carico dei medici l’onere di provare la propria non-negligenza, a tutto vantaggio dei danneggiati/attori).

L’intervento legislativo sul punto ha mirato a invertire una prassi “distorta” che andava diffondendosi in ambiente medico con finalità di autotutela. Il timore di poter andare incontro a grane giudiziarie spingeva, infatti, il medico o la clinica a prescrivere più esami diagnostici del dovuto – con dispendio di denaro pubblico – oppure ad astenersi dal praticare interventi necessari che però presentassero un profilo di rischio medio-alto – in questo caso, a discapito della salute del paziente stesso.

I medici continueranno a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale – e quindi a dover dimostrare in giudizio la propria non colpevolezza – solo quando abbiano agito in qualità di liberi professionisti all’interno dell’ambulatorio di cui sono titolari.

Diversamente, l’ente ospedaliero o la clinica presso cui il paziente è stato operato o curato, rispondono sempre a titolo di responsabilità contrattuale (che la giurisprudenza fa discendere da quello che chiama “contatto sociale”), indipendentemente dalla eventuale negligenza dei professionisti della cui opera si sono avvalsi; e, anzi, potranno essere citati in giudizio anche laddove non vengano individuati i singoli medici che avevano in cura il paziente/soggetto leso. (Come già succedeva con la vecchia disciplina).

La conciliazione stragiudiziale e l’assicurazione obbligatoria

Altra novità di questa riforma consiste nell’aver introdotto il tentativo obbligatorio di conciliazione stragiudiziale come condizione di procedibilità della causa per il risarcimento dei danni da errore medico. In pratica, prima di poter adire il giudice, bisognerà cercare di raggiungere un accordo extragiudiziale con i medici e la struttura sanitaria coinvolti; e solo dopo l’eventuale fallimento di questo tentativo, sarà possibile percorrere le vie giudiziali.

È stato inoltre sancito l’obbligo, per tutte le strutture socio-sanitarie pubbliche e private, di stipulare polizze assicurative che coprano la responsabilità risarcitoria per colpa medica. Con questo, la possibilità per i danneggiati di agire direttamente contro gli istituti assicurativi.

Entro quanto tempo agire per il risarcimento del danno da errore medico

L’azione per il risarcimento dei danni da errore medico nei confronti delle strutture sanitarie si prescrive nel termine di 10 anni a decorrere dal momento in cui il danno si è prodotto o si è reso palese (responsabilità contrattuale). La prescrizione è invece quinquennale per quello che riguarda le cause contro i professionisti medici.

A chi rivolgersi

Data l’estrema delicatezza e complessità dell’ambito in cui ci si muove, è importante – quando si ha la sfortuna di aver subìto un’operazione o un trattamento medico non andati a buon fine – riuscire a farsi assistere da legali e consulenti tecnici competenti, con esperienza in contenziosi di questo genere.

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